Corte di Cassazione, Sez. lav., 9 maggio 2019, n. 12365 – Pres. V. Di Cerbo-Rel. E. Boghetich
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Le previsioni dei contratti collettivi e dei codici disciplinari sulle infrazioni sottoposte a sanzione conservativa sono insuscettibili di estensione, sicché al giudice chiamato a decidere sulla tutela da accordare al lavoratore ai sensi dell’art. 18 Stat. lav. non è consentito disporre la reintegrazione sul presupposto del pari disvalore disciplinare della condotta accertata, ove essa non rientri fra quelle descritte dai contratti collettivi ovvero dai codici disciplinari come punibili con sanzione conservativa, ma soltanto verificare la proporzionalità della sanzione in base all’art. 2106 c.c. ai fini dell’applicazione della tutela indennitaria forte.
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Nella sentenza in commento la Cassazione affronta il caso di un operaio sorpreso dal superiore a dormire durante il turno notturno, a distanza di tempo dalla fine della pausa, all’interno dello stabilimento, ma presso altra zona rispetto al posto di lavoro. L’infrazione, secondo la Suprema Corte, sarebbe dunque consistita in una condotta complessa – sostanziatasi «non semplicemente nella mancata o nell’interrotta prestazione lavorativa immediatamente percepibile al datore di lavoro bensì nella sottrazione dal controllo datoriale al fine di realizzare un’apparente situazione di regolarità lavorativa» – inidonea ad essere inclusa nelle condotte descritte dal contratto collettivo applicato in azienda, il quale, nel decalogo delle fattispecie punite con sanzioni conservative, annoverava invece altri casi, tutti accomunati dall’aver cagionato la mera violazione dell’obbligo di osservanza dell’orario di lavoro e di essere quindi agevolmente rilevabili dalla parte datoriale (ad esempio, la mancata presentazione al lavoro o il ritardo ingiustificato nell’inizio del servizio). Per tali motivi, pur considerando l’ingiustificatezza del licenziamento, ritenevano i giudici di legittimità che la Corte distrettuale non avrebbe potuto fare applicazione delle previsioni della contrattazione collettiva, mancando le condizioni per sussumervi il caso dell’operaio se non per effetto di un’interpretazione non consentita delle clausole contrattuali.
La pronuncia si segnala per aver affrontato una questione di grande attualità sulla quale la dottrina e la giurisprudenza si sono lungamente confrontate, senza essere pervenute ancora a un orientamento uniforme [1], sulla scorta di quanto già accaduto a proposito della questione dell’inesistenza del fatto contestato di cui alla prima parte del comma 4 dell’art. 18 novellato dello statuto dei lavoratori [2]. Secondo alcuni autori, in effetti, l’intervento legislativo avrebbe determinato una tipizzazione del fatto punibile con sanzione conservativa, con la conseguente esclusione di ogni estensione delle previsioni dei contratti collettivi e dei codici disciplinari, poiché l’estensione implicherebbe un’interpretazione analogica o, in alternativa, un’interpretazione estensiva di tali previsioni che nel nuovo assetto normativo non sarebbe più consentita al giudice, valicando il limite tracciato dalla disposizione di legge della mera verifica della corrispondenza tra l’infrazione accertata e le fattispecie previste in una delle due fonti indicate, senza spazi per operazioni ermeneutiche, il cui rischio sarebbe quello di rendere altrimenti imprevedibili i casi di consapevole abuso del potere disciplinare [3]. La conseguenza sarebbe dunque il diverso atteggiarsi della valutazione di adeguatezza della sanzione secondo gli artt. 2106 c.c. e 7 Stat. lav., poiché la possibilità di sussumere la condotta in una delle specifiche previsioni dei contratti collettivi e dei codici disciplinari vincolerebbe il giudice all’annullamento del licenziamento e all’applicazione della tutela reintegratoria (art. 18, comma 4), mentre il giudizio di proporzionalità svolto secondo le norme in parola – incentrato sul pari disvalore disciplinare del fatto in contestazione – rappresenterebbe il metro d’indagine di tutte le «altre ipotesi» non ricomprese nelle suddette previsioni, delle quali fa menzione il comma successivo della norma riconnettendovi la tutela indennitaria cosiddetta forte (art. 18, comma 5). Secondo altra parte della dottrina, invece, il comportamento contestato dovrebbe essere considerato sia nella sua consistenza materiale, sia sotto il profilo dell’elemento soggettivo, talché al fatto inteso unicamente come azione/omissione verrebbe a contrapporsi il fatto inteso come [continua ..]
Ponendosi nel solco di quest’ultima interpretazione, la pronuncia in commento ha confermato l’inapplicabilità della tutela reintegratoria di cui al novellato comma 4 dell’art. 18 quando la condotta non sia inclusa nelle previsioni dei contratti collettivi e dei codici disciplinari. La ratio, ha rilevato la Cassazione, risiede nell’impossibilità di far uso di tali previsioni ricorrendo alla loro interpretazione estensiva o alla loro applicazione analogica [10], per i limiti intrinseci a entrambi i canoni ermeneutici. Quanto al criterio analogico, l’art. 12, comma 2, delle preleggi limiterebbe infatti il suo utilizzo alla sola norma di legge, sicché il suo impiego sarebbe da escludere con riferimento invece al contratto collettivo, inevitabilmente soggetto alle disposizioni degli artt. 1362 ss. c.c. a causa della sua natura privatistica [11]. Circa l’interpretazione estensiva delle clausole contrattuali, invece, nel richiamare altra recente pronuncia [12], la Suprema Corte ha rilevato che una simile operazione sarebbe consentita solo ove le clausole apparissero «inadeguate per difetto dell’espressione letterale rispetto alla volontà delle parti, tradottasi in un contenuto carente rispetto all’intenzione», avuto riguardo alle conseguenze normali volute dalle parti stesse con l’elencazione esemplificativa dei casi menzionati e, altresì, al criterio di ragionevolezza imposto dalla norma. Diversamente, si correrebbe il rischio di introdurre eccezioni alla norma non previste, riducendo la portata della regola, con l’esito di veder frustrata la scelta del legislatore di limitare l’applicazione della tutela reintegratoria all’abuso del potere disciplinare ‘consapevole’, che secondo la Suprema Corte si legherebbe a una «sicura e chiaramente intellegibile conoscenza preventiva, da parte del datore di lavoro, della illegittimità del provvedimento espulsivo», siccome avvenuto in violazione di fattispecie specifiche contenute nella norma collettiva (perciò agevolmente verificabili), laddove l’interpretazione analogica o estensiva di quest’ultima produrrebbe l’effetto contrario, di non rendere, cioè, più prevedibili le «conseguenze circa i comportamenti tenuti dalle parti del [continua ..]
Un simile orientamento, non nuovo, come si è veduto, ma certamente dagli effetti rilevantissimi, appare fornire la chiave di lettura del comma 4 dell’art. 18 novellato senz’altro più aderente al suo tenore letterale e conforme, per altro verso, ai criteri di interpretazione del contratto collettivo, confermando implicitamente l’interpretazione dottrinale secondo cui, a seguito della novella, la regola è ormai la sanzione indennitaria «mentre l’eccezione, ammessa solo in presenza delle specifiche condizioni previste dalla disposizione, dovrebbe essere la reintegrazione ad effetti risarcitori limitati» [13]. Sembra tuttavia inevitabile che la sentenza si esporrà alle critiche di coloro che vedono un limite nelle attuali previsioni delle norme collettive (e dei codici disciplinari), a causa della loro attuale frequente genericità, tale da rendere difficilmente applicabile la norma di legge ove si sostenga che la loro valutazione non possa essere svolta secondo il principio di proporzionalità [14]. In tal caso, sarebbero evidenti le ripercussioni per il lavoratore – le cui chance di reintegrazione dipenderebbero dalla variabile, inidonea a garantire uniformità di trattamento, del maggiore o minore grado di specificità di tali previsioni –, con la probabile compromissione del principio di uguaglianza [15], attesa, come è stato sostenuto [16], la disparità di trattamento che potrebbe aversene tra un lavoratore responsabile di un fatto ricompreso tra quelli puniti con sanzioni conservative secondo il contratto collettivo o il codice disciplinare e altro lavoratore responsabile di una condotta comparabile (o persino meno rilevante), ma non ricompresa in alcuna previsione di tali fonti. Appare dunque necessario, come già osservato da molti autori [17], che si provveda a un aggiornamento della sezione disciplinare dei contratti collettivi, con una specificazione, anche attraverso la tecnica delle esemplificazioni, delle singole infrazioni e delle tipologie di sanzioni che vi sono connesse, giacché una riflessione volta a implementare il grado di analiticità delle norme disciplinari pattizie, pur non risolvendo il problema di un’indagine svincolata dalla valutazione della gravità dell’inadempimento, potrebbe [continua ..]