Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
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I primi effetti della sentenza della corte costituzionale n. 194/2018 sulla quantificazione dell'indennità da licenziamento ingiustificato nelle piccole imprese (di Alessandra Ingrao, Ricercatore in Diritto del lavoro – Università di Milano.)


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Tribunale di Genova, Sez. Lav., 11 novembre 2018 – Giud. Basilico

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A seguito della sentenza della Corte cost. 8 novembre 2018, n. 194 anche per le “piccole imprese” che non raggiungano i requisiti dimensionali di cui all’art. 18, legge n. 300/1970 l’anzianità di servizio non è l’unico criterio di quantificazione del­l’indennità risarcitoria in ipotesi di licenziamento ingiustificato per insussistenza di giustificato motivo oggettivo. Dall’interpretazione costituzionalmente orientatadel­l’art. 9, d.lgs. n. 23/2015 consegue che il giudice possa discrezionalmente determi­nare l’indennità, entro la cornice stabilita dalla legge (sino a 6 mensilità), motivando la quantificazione sulla base dei criteri di cui all’art. 8, legge n. 604/66 e art. 18, com­ma 5, legge n. 300/1970.

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SOMMARIO:

1. I fatti di causa - 2. Corte cost. n. 194/2018 i criteri di determinazione del valore del­l’indennizzo - 3. Gli effetti della pronuncia sull’impianto del d.lgs. n. 23/2015 in assenza di dichiarazione d’“illegittimità/incostituzionalità consequenziale” - 4. Il licenziamento ingiustificato nella logica del mercato del lavoro - NOTE


1. I fatti di causa

La sentenza della Corte cost. n. 194/2018 ha censurato l’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015 nella parte in cui prevedeva un criterio unico, rigido e automatico – l’an­zianità di servizio – per il calcolo dell’indennità da licenziamento ingiustificato, demandando al prudente apprezzamento del giudice la quantificazione del risarcimento entro una cornice stabilita dal legislatore. L’ordinanza del Tribunale di Genova qui in commento è di estremo interesse perché è una delle prime pronunce, a seguito dell’intervento della Consulta, ad affrontare la questione dei criteri di determinazione dell’indennizzo per il licenziamento ingiustificato nel caso di una lavoratrice dipendente di un datore di lavoro che non raggiunge le soglie dimensionali di cui al­l’art. 18, commi 8 e 9, Stat. lav. È necessario ripercorrere in breve i fatti di causa che sono stati decisivi nella determinazione della misura massima dell’indennità, in sei mensilità di retribuzione utile ai fini del TFR. La lavoratrice era stata assunta nel 2009 come “collaboratrice fissa” di una testata giornalistica, dopo aver svolto una collaborazione presso la medesima redazione dal 2000. A seguito di una ispezione della INPGI era emerso l’erroneo inquadramento della stessa, la quale in realtà svolgeva le mansioni di “capo redattore”, fatto pacifico in base alle risultanze processuali. Nell’ottobre del 2017, la società procedeva al licenziamento per gmo, adducendo a fondamento della riorganizzazione l’introduzione di un algoritmo capace di rendere superflui gli apporti umani nella selezione e pubblicazione delle notizie. Tale riorganizzazione, nondimeno, si era rivelata inconsistente, poiché l’ambiente lavorativo della redazione era rimasto inalterato e, per dipiù, il ruolo di capo redattore – la cuipresenza è prescritta dalla legge sulla stampa del 1948 – era stato assegnato all’am­ministratore delegato, soggetto privo dei necessari requisiti d’iscrizione all’albo dei giornalisti. Infine, ad avviso del giudice, al licenziamento illegittimo deve applicarsi l’art. 9, d.lgs. n. 23/2015. L’impresa datrice, infatti, si era scissa in due distinte società e la lavoratrice era stata assunta da una di esse dopo la data [continua ..]


2. Corte cost. n. 194/2018 i criteri di determinazione del valore del­l’indennizzo

La dichiarazione d’incostituzionalità ha riguardato l’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015, che oggi, a seguito del decreto legge n. 87/2018, c.d. “Decreto dignità” [1], prevede, in ipotesi di licenziamento ingiustificato, che il giudice condanni il datore al pagamento di una indennità «in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità», calcolate, s’intende – benché non sia più previsto espressamente –, in riferimento alla retribuzione utile al calcolo del TFR. Al centro delle censure di legittimità costituzionale – per contrasto con gli artt. 3, 4, comma 1, 35, comma 1, Cost. e 76, 117, comma 1, Cost. in relazione all’art. 24 CSE – vi è la modalità di calcolo dell’indennizzo che, essendo proporzionata esclusivamente agli anni di anzianità lavorativa in modo fisso e predeterminato, non è idonea a cogliere le molteplici sfaccettature dei danni che il lavoratore può subire a seguito di un licenziamento ingiustificato. La funzione risarcitoria del rimedio indennitario in parola – afferma la Corte – non può prescindere dalla personalizzazione del danno, calibrato sulle peculiarità del caso concreto, e, pertanto, il giudice deve poter stabilire, secondo il suo prudente ap­prezzamento, la somma in un intervallo che oscilla – pericolosamente, obbietta più d’uno [2] – tra 6 e 36 mensilità. La figura del giudice “automa” che attraverso unamoltiplicazione rende una spettanza calcolabile in una genericità di casi, non sempre identici, è un’immagine che non permette di realizzare il programma costituzionale dell’uguaglianza. Il giudice in questa materia deve poter decidere secondo il suo prudente apprezzamento, poiché, si legge tra le righe della sentenza, la discrezionalità giudiziaria è costituzionalmente obbligata [3]. La sentenza n. 194, dopo aver censurato parzialmente l’art. 3, comma 1, non ha previsto in dispositivo i criteri che il giudice oggi deve utilizzare per personalizzare l’indennizzo nel caso sottoposto alla sua attenzione, limitandosi ad affermare in motivazione che i criteri integrativi sono «desumibili in chiave sistematica dall’evo­luzione della disciplina limitativa [continua ..]


3. Gli effetti della pronuncia sull’impianto del d.lgs. n. 23/2015 in assenza di dichiarazione d’“illegittimità/incostituzionalità consequenziale”

Com’è stato previsto in dottrina [16], la sentenza n. 194 è destinata a produrre effetti al di là del mero inciso contenuto nella norma dichiarata incostituzionale, con una propagazione che si riverbera sull’intero l’impianto del d.lgs. n. 23/2015. Vuoi perché in esso vi sono norme che richiamano esplicitamente l’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015, quali l’art. 9, per tutta l’area della tutela obbligatoria, e l’art. 10 per taluni vizi che inficiano i licenziamenti collettivi; vuoi perché ve ne solo altre che, pur senza richiamare espressamente l’art. 3, comma 1, adottano il mede­simo meccanismo di calcolo censurato: l’art. 4 per i vizi formali e procedurali. La sentenza della Consulta, contrariamente a quanto prevede l’art. 27, legge n. 87/1953, non ha dichiarato «quali sono le altre disposizioni legislative, la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata», adottando una pronuncia di “illegittimità consequenziale” [17]. Si pone pertanto il problema di capire quali disposizioni restano in vigore [18]. Il Tribunale di Genova con l’ordinanza in commento e il Tribunale di Bari [19], prendendo posizione sulla questione, hanno ritenuto doveroso interpretare in senso “costituzionalmente” orientato le disposizioni, rispettivamente, di cui agli artt. 9 e 10 sul presupposto del rinvio espresso in esse contenuto. Gli esiti interpretativi cui pervengono tali pronunce sono condivisibili perché il giudice nell’interpretazione della norma si trova a dovere applicare un frammento che non è più conforme a Costituzione e che pertanto è tenuto a disapplicare [20]. Non si può fare a meno di notare tuttavia come la stessa operazione interpretativa non possa essere svolta con riferimento all’art. 4, d.lgs. n. 23/2015, norma che non contiene alcun richiamo espresso all’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015. Quando la questione si porrà per tale norma il giudice a quo dovrà sollevare eccezione di legittimità costituzionale e, prevedibilmente, la Consulta deciderà in maniera analoga. Salvo sempre che, in una simile situazione d’incertezza, non la preceda il legislatore, che si auspica intervenga per riequilibrare l’irragionevolezza dell’intero sistema [continua ..]


4. Il licenziamento ingiustificato nella logica del mercato del lavoro

In conclusione, si vuole porre l’accento critico su una dimenticanza della sentenza n. 194. La sentenza 194 sembra non tenere conto debitamente del disegno complessivo sotteso alla riforma c.d. Jobs Act, all’interno della quale le tutele economiche per il licenziamento costituiscono soltanto un piccolo tassello in un mosaico complesso. In un ragionamento condotto sul piano dei principi costituzionali, infatti, stupisce che non si sia tenuto conto che il sistema di calcolo dell’indennizzo censurato era stato concepito nell’ambito di una più ampia riforma che intendeva superare il c.d. regime di job property – e conseguentemente il danno da perdita del posto –, assistendo il lavoratore licenziato nella ricerca di una nuova occupazione, sia attraverso lo strumento delle politiche attive, sia attraverso l’erogazione di un sostegno e­conomico che costituisce pur sempre uno strumento compensatorio della persona licenziata. In definitiva, sebbene la Corte di legittimità non abbia riconosciuto la detraibilità della Naspi dal risarcimento riconosciuto al lavoratore illegittimamente licenziato [24], sarebbe stato opportuno nel valutare l’“adeguatezza” della riparazione includere nel ragionamento anche tale forma di compensazione.


NOTE