L’articolo analizza le misure di pensionamento anticipato del decreto legge n. 4/2019 alla luce degli obiettivi dichiarati dal Governo e ne evidenzia l’effetto antitetico, di incremento degli squilibri intragenerazionali e intergenerazionali.
The article analyses the measures of early retirement of the Decree-Law n. 4/2019 in the light of the objectives declared by the Government and highlights their antithetic effect of increasing intra-generational and inter-generational imbalances.
Keywords: Early riterement – "100 fee pension" – "woman option" – retributive/contributory pension.
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1. Gli obiettivi delle misure pensionistiche del decreto legge n. 4/2019 - 2. Gli elementi strutturali delle disposizioni pensionistiche: pensione anticipata, blocco degli adeguamenti alla speranza di vita, sperimentalità - 3. I soggetti beneficiari e la dimensione temporale - 4. Opzione donna come paradigma dell’intervento pensionistico: a) l'evoluzione normativa - 5. Segue. b): la nuova disciplina - NOTE
Nell’incertezza politica conseguente alla caduta del Governo gialloverde, è ancora presto per comprendere cosa sarà di uno degli interventi legislativi a più forte impronta leghista, quel Capo II del decreto legge n. 4/2019, convertito con modificazioni nella legge n. 26/2019, dedicato al Trattamento di pensione anticipata «quota 100» e (ad) altre disposizioni pensionistiche (artt. 14-26) [1]. Comunque, al momento vigente, la normativa merita qualche riflessione sulle principali novità in materia pensionistica. Pensione quota 100 è la portabandiera non solo mediatica di un obiettivo che il Contratto per il governo del cambiamento (da ora Contratto) ha tradotto dapprima, a mo’ di slogan, nei termini di Stop alla legge Fornero, e poi precisato essere volto alla «abolizione degli squilibri del sistema previdenziale», al fine di «agevolare l’uscita dal mercato del lavoro delle categorie ad oggi escluse [2]». La logica sottointesa di queste affermazioni è che gli squilibri siano il frutto dell’uniformazione verso l’alto del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia, destinato altresì a crescere ulteriormente, in forza delle regole introdotte dall’art. 24, decreto legge n. 201/2011 [3]: abolirli, o almeno ridurli, significherebbe abbassare l’età pensionabile o, comunque, d’accesso alla pensione, anche diversificando i requisiti richiesti per la maturazione del diritto. Ciò che il Contratto ha proposto di fare in molteplici modi: a pensione quota 100, infatti, sono affiancati, almeno in prospettiva, il pensionamento anticipato con 41 anni di anzianità contributiva – peraltro erroneamente connessa a un’inesistente “età pensionabile” [4] e «tenuto altresì conto dei lavoratori impegnati in mansioni usuranti» – nonché la «proroga della misura sperimentale “opzione donna”». Indicazioni, queste, che hanno trovato un primo riscontro normativo nella legge di bilancio 2019, n. 145/2018: nel provvedere anticipatamente alla provvista finanziaria del futuro atto legislativo, infatti, l’art. 1, comma 256, ha istituito un apposito Fondo significativamente dedicato alla «revisione del sistema [continua ..]
Se l’obiettivo era offrire ai lavoratori maggiori opportunità di uscita dal mercato del lavoro ad un’età inferiore rispetto a quella richiesta per la maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia, possiamo chiederci quali siano le modalità o gli strumenti a tal fine utilizzati. La risposta, pur con qualche differenza, si snoda lungo tre linee principali. Il primo riguarda la tipologia di trattamento pensionistico. Nessuna delle norme degli artt. da 14 a 18 tocca la disciplina della pensione di vecchiaia, il trattamento ordinario, immodificata rispetto al 2011. Tutte, piuttosto, secondo un’opzione anticipata già nella legge di bilancio 2019, s’appuntano sulla pensione anticipata. In questi precisi termini, l’art. 14 si premura di definire la nuova fattispecie “pensione quota 100”, il cui diritto matura con un’età anagrafica di almeno 62 anni e un’anzianità contributiva minima di 38. Essa va ad aggiungersi alle altre ipotesi di anticipo pensionistico già previste dall’ordinamento, ad alcune della quali rimandano le altre disposizioni. Così, l’art. 15 sterilizza a 42 anni e 10 mesi, per gli uomini, e 41 anni e 10 mesi, per le donne, il requisito contributivo richiesto dall’art. 24, comma 10, decreto legge n. 201/2011 per la maturazione del diritto a quel trattamento a prescindere dall’età anagrafica del lavoratore. L’art. 16, invece, ripropone il trattamento comunemente noto come opzione donna, su cui ci soffermeremo oltre, riconoscendo la facoltà di accedere alla pensione con 35 anni di anzianità contributiva e 58 o 59 di età anagrafica, rispettivamente alle lavoratrici dipendenti e autonome. Ancora di sterilizzazione si tratta nell’art. 17, ma con riguardo al requisito contributivo di 41 anni che l’art. 1, comma 199, legge n. 232/2016 ha richiesto ai lavoratori c.d. “precoci”, coloro che hanno almeno 12 mesi di contribuzione per periodi di lavoro effettivo precedenti il raggiungimento del diciannovesimo anno di età e si trovino in una delle condizioni stabilite dalla medesima disposizione. Infine l’art. 18 proroga di un anno, fino al 31 dicembre 2019, il c.d. Anticipo pensionistico sociale (Ape), la cui sperimentazione è stata avviata dall’art. 1, commi da 179 a 186, della legge n. 232/2016, ai [continua ..]
Sul versante dei lavoratori destinatari delle misure pensionistiche è innanzitutto da rilevare una differenza letterale tra quanto dispone l’art. 14 e le altre disposizioni. Dal primo, il diritto al trattamento anticipato in quota è riconosciuto ai lavoratori «iscritti all’assicurazione generale obbligatoria e alle forme esclusive e sostitutive della medesima, gestite dall’INPS, nonché alla gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, l. n. 335/1995» (comma 1). Le altre disposizioni, invece, non contengono l’identico riferimento alla principale gestione del maggiore ente previdenziale, assente pure nel testo originale del decreto legge. Ad una lettura sistematica, peraltro, tutte si rivolgono ai lavoratori iscritti all’assicurazione generale obbligatoria, alle sue forme sostitutive ed esclusive e alla quarta Gestione separata dei lavoratori autonomi [28]. Il richiamo solo a quest’ultima si giustifica in ragione del suo essere, appunto, “separata” dalle altre tre gestioni dei lavoratori autonomi – coltivatori diretti, mezzadri e coloni, commercianti e artigiani – e non è indice della loro esclusione dal campo di applicazione, anche perché da tempo esse sono state ricondotte al regime generale [29]. Piuttosto, c’è da chiedersi se quel riferimento all’INPS abbia una qualche rilevanza effettiva. Ciò tanto più se si considera che l’ente previdenziale ha ormai inglobato sia i regimi esclusivi dei pubblici dipendenti sia quello sostitutivo dei lavoratori dello spettacolo e degli sportivi professionisti, mentre lo stesso art. 14, decreto legge n. 4/2019, al comma 10, preclude il nuovo trattamento in quota al personale militare delle Forze armate, al personale delle Forze di polizia e di polizia penitenziaria, della Guardia di finanza e del Copro nazionale. La risposta è positiva, nel senso che la perimetrazione interna al maggiore ente previdenziale fuga ogni dubbio circa l’inapplicabilità della disposizione alle Casse di previdenza privatizzate ai sensi del d.lgs. n. 509/1994 [30]. Né i giornalisti, siano essi lavoratori autonomi o subordinati, né i liberi professionisti, perciò, hanno diritto a pensione quota 100. E neppure è consentito a lavoratori iscritti ad altri regimi di cumulare a tal fine gli spezzoni [continua ..]
Forse più di pensione quota 100, il paradigma di questa impostazione è opzione donna. Per chiarire l’affermazione occorre ripercorrerne in sintesi il cammino normativo ricordando che questa denominazione, riprodotta nella rubrica dell’art. 16, rimanda al regime speciale di accesso anticipato al trattamento pensionistico, introdotto dall’art. 1, comma 9, legge n. 243/2004, in favore delle lavoratrici dipendenti e autonome. Il perché di questo regime è cosa nota. Il comma 7 di quell’articolo aveva disposto l’innalzamento a 60 e a 61 anni, rispettivamente dal 2008 e dal 2010, del requisito anagrafico per la pensione di anzianità, ma era stato poco dopo sostituito dall’art. 1, comma 2, lett. a), legge n. 247/2007, con il meno penalizzante “sistema delle quote”: con un’anzianità contributiva minima di 35 anni, ai lavoratori dipendenti, a decorrere dal 2008, era richiesta un’età anagrafica minima di 58 anni, aumentata a 59 tra luglio 2009 a fine 2010 e passata a 60 fra il 2011 e il 2012, per arrivare a 61 dal 2013 [42], mentre per i lavoratori autonomi tutti i valori anagrafici erano aumentati di un’unità. In alternativa ad entrambi, opzione donna offriva alle lavoratrici l’accesso alla pensione d’anzianità in presenza di un requisito contributivo pari o superiore a trentacinque anni e di un’età pari o superiore a 57 anni per le lavoratrici dipendenti e a 58 anni per le lavoratrici autonome, cioè con i requisiti previsti prima del 2004 dall’art. 59, comma 6, legge n. 449/1997. Come gli altri due regimi, anche questo decorreva dal 1° gennaio 2008, ma aveva carattere sperimentale, vigendo fino al 31 dicembre 2015, un momento comunque successivo all’ultimo incremento del requisito anagrafico previsto per la pensione di anzianità. Retrocedendo di 35 anni dall’avvio e dal termine della sperimentazione, risultavano destinatarie della misura le donne che avessero iniziato a lavorare entro il 1973 e il 1980. Si trattava di lavoratrici la cui pensione era soggetta al sistema di calcolo retributivo, divenuto misto nel 2012 [43], oppure da subito assoggettate a quest’ultimo, ai sensi dell’art. 1, comma 12, legge n. 335/1995. Per tutte, comunque, la legge prevedeva la liquidazione del [continua ..]
Tornando all’oggi, a prescindere dalla rubrica, l’art. 16, decreto legge n. 4/2019, non contiene alcun riferimento alla primigenia fonte legislativa, mentre riconosce alle lavoratrici il «diritto al trattamento pensionistico anticipato», formula sconosciuta alla precedente disciplina, ma conseguente alla rivisitazione delle tipologie di trattamenti operata nel 2011. Peraltro, la sua disciplina è analoga alla precedente: il diritto spetta alle lavoratrici autonome e dipendenti, anche del settore pubblico [47], in presenza di un requisito anagrafico inferiore a quello richiesto per la pensione di vecchiaia e di un’anzianità contributiva, invece, maggiore, ma d’altro canto più vantaggiosa rispetto alla pensione anticipata, mentre la pensione è contributiva secondo le regole del d.lgs. n. 180/1997. Pur nel silenzio della norma, essa trova applicazione, come per le altre misure nei regimi e nelle gestioni pensionistiche incardinate nell’INPS, incluse le tre speciali per i lavoratori autonomi e la gestione separata. Quanto all’età anagrafica, la legge richiede che essa sia pari o superiore a 58 o 59 anni, sempre per lavoratrici dipendenti o autonome, perché possa considerarsi “maturato” il diritto alla prestazione. Immutato, invece, è il requisito dei 35 anni di contribuzione, altresì effettiva, con irrilevanza, perciò, dei contributi figurativi per malattia, infortunio, disoccupazione, invece utili per il calcolo della prestazione [48]. Di entrambi, inoltre, è richiesta l’esistenza al 31 dicembre 2018, momento, si noti, precedente l’entrata in vigore del decreto legge. A risalire da tale data indietro nel tempo di 35 anni, il confine di accesso al trattamento è posto al 1983 e resta comunque prima del 1990, anche a considerare un eventuale riscatto di laurea. Non diversamente dalle altre misure, perciò, anche questo regime è riservato alle lavoratrici la cui pensione è calcolata con il sistema misto. Peraltro, il diritto al trattamento è soggetto ad un regime delle decorrenze diverso e ben più penalizzante di quello trimestrale o, per pensione quota cento dei dipendenti pubblici, semestrale previsto per le altre misure pensionistiche. L’art. 16, infatti, ripropone la disciplina ante 2011 e applica l’art. 12, decreto legge n. [continua ..]