Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
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Il 'decreto Dignità' e la reintroduzione delle causali (di Maria Cristina Cataudella, Professore ordinario di Diritto del lavoro – Università di Roma “Tor Vergata”.)


Il decreto legge n. 87/2018 (c.d. decreto Dignità), conv. in legge n. 96/2018, ha modificato la disciplina del contratto a termine e del contratto a termine in somministrazione, reintroducendo le causali sia in caso di superamento dei dodici mesi di durata del contratto che in caso di rinnovo dello stesso. L’intervento del legislatore è finalizzato, dichiaratamente, ad una riduzione della precarietà. L’A., dopo aver esaminato la nuova disciplina delle causali con riferimento ad entrambi i contratti, si domanda se le causali rappresentino effettivamente uno strumento adeguato a ridurre la precarietà o se, invece, rischino di produrre effetti diversi o, addirittura, opposti rispetto a quelli auspicati.

The 'decreto Dignità' and the reintroduction of the reasons

The d.l. n. 87/2018 (“decreto Dignità”), converted in law n. 98/2018, has modified the discipline of fixed term work and temporary agency work. It has reintroduced the need for reasons that justify the affixing of the term for contracts exceeding a twelve months period and in case of renewal of the contract. The law is expressly aimed at reducing precariousness. After examining the new discipline, the A. wonders if the new rules are really a suitable mean to re­duce precariousness or, on the contrary, there is the risk to produce effects different or even opposed of those desired.

SOMMARIO:

1. Premessa. Il decreto Dignità e il ritorno alle causali - 2. Le causali nel contratto di lavoro a tempo determinato - 3. Le causali nel contratto di lavoro a tempo determinato in som­ministrazione - 4. Le causali come strumento per ridurre la precarietà - NOTE


1. Premessa. Il decreto Dignità e il ritorno alle causali

Com’è noto il decreto legge 12 luglio 2018, n. 87 (c.d. “decreto Dignità” [1]), convertito in legge 9 agosto 2018, n. 96, introduce alcune significative modifiche alla disciplina del contratto di lavoro a termine e a quella della somministrazione di lavoro. Una delle novità più rilevanti è certamente rappresentata dalla reintroduzione della causali sia per il contratto a tempo determinato che, sia pure indirettamente [2], per il contratto a tempo determinato in somministrazione. La ragione (almeno quella dichiarata) che ha spinto il legislatore a compiere questo passo indietro, reintroducendo dei limiti che erano stati completamente superati prima dal decreto legge 20 marzo 2014, n. 34 (meglio conosciuto come decreto Poletti, dal nome dell’allora Ministro del Lavoro Giuliano Poletti), convertito in legge 16 maggio 2014, n. 78 [3], e poi dal d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 [4], è la volontà di contrastare il precariato, al fine di tutelare la dignità dei lavoratori. Questo obiettivo, che già viene esplicitato nel “Contratto per il Governo del cambiamento”, sottoscritto da Lega e Movimento 5 Stelle il 17 maggio del 2018, nella parte – in vero alquanto scarna – dedicata al lavoro [5], viene ribadito con chiarezza nel decreto legge stesso, in particolare nel Capo II, che contiene la disciplina del con­tratto a tempo determinato e della somministrazione e che s’intitola, appunto, “Misure per il contrasto al precariato”. Resta da verificare se gli strumenti utilizzati dal legislatore per realizzare tale finalità siano adeguati allo scopo, o se invece, come sostenuto da diversi commentatori della riforma [6], non finiscano piuttosto, paradossalmente, per produrre l’effetto diametralmente opposto, rendendo i precari ancora più precari.


2. Le causali nel contratto di lavoro a tempo determinato

L’art. 19, d.lgs. n. 81/2015, nel testo modificato dall’art. 1 del citato decreto legge n. 87/2018, prevede che il contratto a tempo determinato non possa avere una durata superiore a dodici mesi (art. 19, comma 1), a meno che non ricorra almeno una delle seguenti condizioni, che devono essere specificate per iscritto [7]: «a) esigenze tem­poranee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori; b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria» (art. 19, comma 1). Anche in presenza di tali condizioni, il contratto non può comunque superare i ventiquattro mesi. Qualora venga stipulato un contratto di durata superiore a dodici mesi in assenza delle condizioni di legittimità di cui al 1° comma dell’art. 19, «Il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di superamento del termine di dodici mesi» (art. 19, comma 1 bis). Le esigenze di cui al comma 1 devono ricorrere anche in caso di proroga, che superi i dodici mesi [8]; nonché in tutti i casi di rinnovo del contratto a termine, a prescindere dal superamento del tetto di dodici mesi (art. 21, comma 01) [9]. In caso di rinnovo o di proroga del contratto che ecceda i dodici mesi, senza il rispetto della previsione di cui all’art. 19, comma 1, il contratto si trasforma in un contratto di lavoro a tempo indeterminato (art. 21, comma 01). Possono invece essere rinnovati e prorogati senza la necessità che ricorrano le esigenze di cui all’art. 19, comma 1 – oltre i contratti a termine con le pubbliche amministrazioni, ai quali non si applica la disciplina del 2018 [10] – i contratti per attività stagionali, di cui all’art. 21, comma 1 [11], che possono altresì superare il tetto dei ventiquattro mesi (art. 19, comma 2, e art. 21, comma 01). I contratti collettivi, di qualsiasi livello, possono derogare alla previsione sulla durata massima dei contratti a termine (ventiquattro mesi), sia prevedendo una durata massima inferiore che una durata massima superiore, ma non sono legittimati ad intervenire sulle causali (art. 19, comma 2). Da questa rapida disamina della nuova disciplina delle causali del contratto a termine, emerge con chiarezza che il legislatore, pur [continua ..]


3. Le causali nel contratto di lavoro a tempo determinato in som­ministrazione

L’applicazione dell’art. 19, comma 1, anche al contratto di lavoro in somministrazione a tempo determinato, rappresenta una delle conseguenze più significative dell’estensione quasi totale allo stesso della disciplina del contratto a termine, esten­sione che consegue alla modifica, sempre ad opera del decreto legge n. 87/2018, dell’art. 34, comma 2, d.lgs. n. 81/2015 (“Disciplina dei rapporti di lavoro”). Questa norma, nella sua versione originaria, disponeva che la disciplina del contratto a termine trovasse applicazione al rapporto di lavoro a termine tra somministratore e lavoratore solo se “compatibile” [17]. L’art. 34, comma 2, escludeva, inoltre, e­spressamente, l’applicazione degli artt. 19, commi 1, 2 e 3, 21, 23 e 24, del d.lgs. n. 81/2015, ovvero la disciplina dei limiti di durata, delle proroghe e dei rinnovi, dei limiti quantitativi e del diritto di precedenza. La nuova versione dell’art. 34, non condiziona più l’applicazione della disciplina del contratto a termine ad una verifica di compatibilità della stessa [18], e esclude espres­samente l’applicazione dei soli artt. 21, comma 2, 23 e 24, d.lgs. n. 81/2015 [19]. Vengono così reintrodotte per la somministrazione a termine le causali, originariamente previste dall’art. 20, comma 4, d.lgs. n. 276/2003 e successivamente soppresse dal decreto legge n. 34/2014. Rispetto alla disciplina del 2003, vi sono, tuttavia, delle differenze significative. In primis, come si è già osservato con riferimento al contratto a termine, le causali appaiono molto più restrittive rispetto a quelle previste dall’art. 20, comma 4, d.lgs. n. 276/2003 [20]. Inoltre, mentre il legislatore del 2018 si limita a prevedere l’applica­zione sic et simpliciter della disciplina delle causali del contratto a termine alla som­ministrazione a termine, il legislatore del 2003 aveva dettato una disciplina specifica delle stesse, imponendo che le causali fossero apposte per iscritto sia nel contratto di somministrazione [21] che nel contratto di lavoro a termine tra agenzia di somministrazione e lavoratore, e prevedendo, altresì, la sanzione della costituzione di un rapporto di lavoro con l’utilizzatore sia nel caso in cui le causali non risultassero per iscritto nel contratto di [continua ..]


4. Le causali come strumento per ridurre la precarietà

Come già si è accennato in premessa, le causali vengono reintrodotte dal legislatore del 2018, con la finalità dichiarata di contrastare le precarietà. Per realizzare questo obiettivo, il legislatore ha scelto, tuttavia, di non imporre il rispetto delle stesse già dal primo contratto di lavoro a termine (anche in somministrazione) [37] ma solo in caso di superamento dei dodici mesi di durata e in caso di rinnovo [38]. Questa scelta potrebbe però produrre effetti diversi – se non addirittura contrari – rispetto a quelli auspicati: in questo modo, infatti, non viene limitato il numero di contratti a termine (anche in somministrazione) che le imprese possono stipulare [39] ma solo la durata degli stessi. La conseguenza potrebbe essere che il numero di contratti a termine resti invariato ma che diminuisca la durata media degli stessi [40]. A questo risultato contribuisce anche la decisione del legislatore di imporre causali molto restrittive e non agevoli da interpretare. Non è neppure detto che la riduzione della durata dei contratti a termine spinga le imprese a stabilizzare più rapidamente i lavoratori a termine (dopo dodici mesi anziché dopo trentasei mesi). La durata minore dei rapporti a termine potrebbe, infatti, rap­presentare un elemento che va in senso contrario alla stabilizzazione, perché rischia di creare, durando meno il rapporto di lavoro, un vincolo meno stretto tra impresa e lavoratore. La conseguenza potrebbe essere che, anziché stabilizzare i lavoratori dopo dodici o ventiquattro mesi, le imprese scelgano di sostituirli con altri lavoratori, in un rapidissimo turnover. Per quanto riguarda nello specifico la somministrazione, l’estensione della disciplina delle causali senza una specifica regolamentazione delle stesse, crea, come si è visto, una situazione di forte incertezza normativa [41]: in particolare, si è rilevato come non sia chiaro cosa accada in caso di violazione delle condizioni per prolungare il termine del contratto di lavoro fino a ventiquattro mesi previste dall’art. 19, comma 1 [42]. È probabile che questa situazione di incertezza spinga le agenzie a limitare la durata delle missioni presso ciascun utilizzatore a dodici mesi [43], per evitare l’appli­cazione di causali sulle quali [continua ..]


NOTE