Prendendo spunto dalla sentenza delle Sezioni Unite della Cass. n. 16601/2017, il saggio affronta il tema dell’operatività nel diritto del lavoro di moduli sanzionatori a carattere “punitivo” in relazione alle funzioni della responsabilità civile e in riferimento agli sviluppi recenti delle sanzioni e delle tecniche di tutela giuslavoristiche, nonché alle loro peculiarità rispetto al diritto civile.
On the basis of the Court of Cassation’s ruling n. 16601/2017, the essay analyses the way punitive penalties related to civil liability can be applied to the labour law, referring to the recent evolutions of employment penalties and protections and taking in consideration of their specific characteristics compared with civil law.
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1. L’ammissibilità di c.d. danni puntivi alla luce di Cass., Sez. Un., n. 16601/2017 in relazione alle funzioni della responsabilità civile e alle tutele del diritto del lavoro - 2. Moduli sanzionatori giuslavoristici alternativi rispetto agli ordinari canoni (meramente) risarcitori della responsabilità civile - 3. Ratio e funzioni della responsabilità civile e punitive damages - 4. I (persistenti) limiti e le condizioni del possibile operare di c.d. danni punitivi - 5. Ratio e finalità alla base dei moduli sanzionatori “punitivi” del diritto del lavoro - 5.1. La rilevanza del danno nelle sanzioni “punitive” giuslavoristiche - 5.2. La deroga alla disciplina generale della responsabilità civile ex artt. 1218 e 2043 c.c. - 5.3. Sanzioni “punitive” non a vantaggio del lavoratore danneggiato - 6. Effettività della normativa giuslavoristica e c.d. danni punitivi - 6.1. Il degradare degli standard di protezione del diritto del lavoro nella legislazione recente - 6.2. La variazione dei moduli di tutela giuslavoristici in funzione di finalità economico-occupazionali - 7. La ridefinizione al ribasso delle sanzioni giuslavoristiche rispetto alla responsabilità civile ex artt. 1218 e 2043 c.c.: dalla tutela reale (anche mediante sanzioni “punitive”) alla tutela indennitaria dei diritti del prestatore di lavoro - NOTE
In tema di c.d. danni punitivi si rivela di notevole interesse e foriero di possibili implicazioni rilevanti, anche in relazione alla materia giuslavoristica, il mutamento sensibile di indirizzo prospettato dalle Sezioni Unite della Cassazione, con la recente pronunzia n. 16601/2017, in virtù dell’affermata riconoscibilità in Italia di una sentenza straniera di condanna appunto al risarcimento di c.d. danni punitivi, e cioè, quindi, ad una sanzione di entità maggiore rispetto al pregiudizio patito dal danneggiato. Oggetto di revisione è in questo senso, infatti, la consolidata interpretazione da parte della stessa giurisprudenza di legittimità tradizionalmente contraria in ordine all’applicabilità al soggetto responsabile di un atto illecito contrattuale o anche extracontrattuale (cfr., rispettivamente, artt. 1218 e 2043 c.c.) di una sanzione di entità superiore di quella del danno concretamente procurato [1]. Ciò almeno in linea di principio, e sebbene rilevino ex lege, nella realtà, una serie di fattispecie sanzionatorie particolari aventi natura obiettivamente anche punitiva in senso lato, e quindi non di ordinario mero taglio risarcitorio ex artt. 1218 e 2043 c.c. (e norme collegate), in materie disparate del diritto civile e in primo luogo anche proprio in area giuslavoristica, come rimarcato ampiamente in motivazione dalla stessa Cass., Sez. Un., n. 16601/2017. È infatti risultata ricorrente nel tempo la prospettazione, da parte del legislatore lavorista, di moduli sanzionatori a connotazione “punitiva” o ad ogni modo alternativi rispetto agli ordinari canoni “risarcitori” propri della responsabilità civile: a partire anzitutto dall’art. 18, legge n. 300/1970, emblematico, anche nelle sue mutate versioni succedutisi rispetto al testo originario (cfr., spec., art. 1, legge n. 108/1990 e art. 1, comma 42, legge n. 92/2012), della peculiarità dell’impianto delle tutele del “diritto del lavoro” rispetto al “diritto civile” inteso in senso generale [2]. La portata di Cass., Sez. Un., n. 16601/2017 viene tuttavia in realtà a trascendere la tematica dei c.d. danni punitivi, in quanto il prospettato mutamento interpretativo appunto in ordine ai punitive damages è argomentato dalle Sezioni Unite sulla base di una riconsiderazione [continua ..]
La prospettazione di moduli sanzionatori a connotazione “punitiva” o comunque sia pure in parte alternativi rispetto agli ordinari canoni “risarcitori” propri della responsabilità civile si è anzitutto avuta, in specie, nel diritto del lavoro, nell’ambito dell’articolato regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo o inefficace, peraltro, come noto, anche al di là del già richiamato art. 18, legge n. 300/1970. In relazione a svariate fattispecie sanzionatorie, infatti, l’operare della sanzione è previsto quale conseguenza in sé dell’acclarata inefficacia o illegittimità del licenziamento, indipendentemente da un necessario accertamento del danno effettivamente patito dal lavoratore, in linea generale presunto anche sulla scorta dell’assunzione, quale parametro di sua determinazione, dell’ultima “retribuzione globale di fatto” (cfr. art. 18, commi 2-8, legge n. 300/1970, art. 8, legge n. 604/1966), oppure dell’ultima retribuzione utile ai fini del trattamento di fine rapporto (cfr. art. 3, commi 1 e 2, nonché art. 4, d.lgs. n. 23/2015), sia pure con la correlata prevista possibile detrazione del c.d. aliunde perceptum e percipiendum (cfr. commi 2 e 4, art. 18, legge n. 300, cit.). Così, invero, nel caso de: il risarcimento “minimo” pari ad almeno cinque mensilità della retribuzione globale di fatto ex comma 2, art. 18, legge n. 300/1970; l’indennità risarcitoria “minima” di “dodici mensilità” e comunque fino ad un “massimo” di “ventiquattro mensilità” a fronte di licenziamento senza giusta causa e senza giustificato motivo ex commi 5 e 7, art. 18, cit.; la «indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata ... tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità» prevista, ex comma 6, art. 18, cit., al cospetto dell’inefficacia del licenziamento per vizio di motivazione, oppure per la violazione della procedura ex art. 7, legge n. 300/1970, come anche per la violazione della procedura di cui all’art. 7, legge n. 604/1966; la «indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di [continua ..]
Moduli sanzionatori di punitive damages sono notoriamente caratteristici dell’esperienza degli ordinamenti di Common Law di matrice anglosassone [9], mentre in relazione ad essi si registra, invece, da parte degli ordinamenti di Civil Law una largamente prevalente chiusura di massima, sebbene non del tutto univoca [10], attesa la possibile prefigurazione di fattispecie sanzionatorie particolari a connotazione punitiva pure nell’ambito di sistemi di responsabilità civile a generale impostazione risarcitoria. Così come si è già anticipato avvenire anche per la nostra esperienza e difatti considerato precipuamente dalle stesse Sezioni Unite nell’innovativa loro recente pronunzia n. 16601/2017, cit., confermando appunto l’ammissibilità di simili moduli sanzionatori particolari a connotazione punitiva. Secondo quanto emerge dal vivace dibattito subito alimentatosi al riguardo, nel solco del mutamento d’indirizzo interpretativo in tema di c.d. danni puntivi delineato da Cass., Sez. Un., n. 16601/2017, cit., a divenire oggetto di analisi sono tuttavia le stesse basi strutturali, i connotati e le potenzialità applicative e di sviluppo della responsabilità civile: la cui funzione infatti si conviene – sia pure con accentuazioni variegate e differenziazioni anche sensibili – non poter essere circoscritta alla compensazione o al mero ristoro (sul piano patrimoniale) del soggetto danneggiato, ma estendersi per quanto possibile al ripristino dello status quo ante, a riaffermare il potere sanzionatorio dello Stato anche in via deterrente e/o dissuasiva rispetto alla perpetrazione nel futuro di atti illeciti (dai quali possano derivare effetti pregiudizievoli in danno di altri soggetti) e pure con l’individuazione, sul versante degli effetti economici della medesima responsabilità civile, delle ulteriori funzioni c.d. sussidiarie della distribuzione delle perdite e dell’allocazione dei costi [11]. Mentre, sempre in corrispondenza ad una concezione non meramente “riparatoria” o di ristoro (del pregiudizio procurato) della responsabilità civile, a risultare è anche il possibile variare dei medesimi oneri di allegazione e probatorio nella sede giudiziale: al cospetto, in particolare, della prevista applicazione della sanzione a prescindere dal necessario effettivo [continua ..]
Permane in ogni caso la necessità di un’intermediazione legislativa, essendo scontato che sanzioni a carattere “punitivo” (così come del resto anche di ogni altra natura) possano essere aversi solo a fronte della loro previsione ex lege: alla luce degli stessi principi fondamentali della nostra Carta costituzionale per cui «nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge» e «nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso» (cfr., rispettivamente, art. 23 e art. 25, comma 2, Cost.). Così come confermato dalla medesima pronunzia Cass., Sez. Un., n. 16601/2017, difatti sì ammettendo la riconoscibilità di sentenze straniere di condanna in tema di “danni punitivi”, ma solo a condizione della loro emissione «nell’ordinamento d’origine su basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa e i suoi limiti quantitativi» e al contempo argomentando la possibile funzionalità della responsabilità civile a finalità altre rispetto a quella meramente riparatoria e/o risarcitoria, e segnatamente anche di ordine punitivo, in riferimento alle suaccennate fattispecie sanzionatorie particolari prefigurate ex lege. Al di là del ribaltamento del precedente indirizzo interpretativo negativo riguardo la delibazione di sentenze straniere su c.d. punitive damages, dato di rilievo emergente da Cass., Sez. Un., n. 16601/2017 è rappresentato, come visto, dall’affermata compatibilità con l’ordine pubblico, ex art. 64, legge n. 218/1995, e comunque dalla reputata conformità ai principi generali del nostro ordinamento di sentenze straniere di tal fatta (sempre nei limiti e solo alle condizioni che si è detto), nonché anche delle stesse cennate fattispecie sanzionatorie particolari a carattere “punitivo”. Solidi elementi di supporto nel senso della legittimità di siffatti moduli sanzionatori si è detto essere forniti da Cass., Sez. Un., n. 16601/2017 sulla scorta della sempre più largamente condivisa natura c.d. “polifunzionale” del sistema di responsabilità civile, affermata non da oggi dalla stessa [continua ..]
Molteplici e di ordine diverso sono le ragioni e le finalità alla base della prefigurazione dei cennati moduli sanzionatori giuslavoristici “punitivi” o comunque regolativi della responsabilità civile in via differente almeno in parte rispetto agli ordinari canoni di carattere riparatorio-risarcitorio ex artt. 1218 e 2043 c.c. (e norme collegate). Rilevano, infatti, la portata e peculiarità delle posizioni soggettive e interessi implicati, molti dei quali di carattere personale e di natura primaria, a fronte della risaputa disparità di forza delle parti contrattuali delle relazioni di lavoro subordinato, su cui trova fondamento l’articolato apparato di tutele posto a protezione del lavoratore contraente debole sottoposto all’esercizio dei poteri datoriali, nonché il correlato interesse generale all’osservanza e all’effettività della normativa giuslavoristica [21]. Valutata l’inadeguatezza di moduli sanzionatori di mero taglio risarcitorio, in sede di regolamentazione della responsabilità civile ne è considerata la funzione deterrente e, al contempo, la sua stessa funzione ripristinatoria dello status quo ante e di riaffermazione del potere sanzionatorio dello Stato. Al cospetto di diritti e interessi fondamentali della persona del lavoratore, quali quello all’occupazione, alla retribuzione, all’integrità psicofisica e alla salute, alla professionalità, alla non discriminazione, ecc., infatti, si tratta, anzitutto, di dissuadere dalla stessa perpetrazione degli illeciti e comunque di assicurare per quanto possibile al lavoratore vittima di un illecito il ripristino e/o la reintegrazione della posizione soggettiva violata e in ogni caso il soddisfacimento degli interessi corrispondenti. Ciò, dunque, al di là di una tutela meramente risarcitoria, mediante moduli sanzionatori che, in virtù della loro natura anche segnatamente punitiva e deterrente, siano volti ad assicurare l’effettività della normativa giuslavoristica [22], sia pure nei limiti della risaputa essenziale incoercibilità e infungibilità dell’esercizio dei poteri datoriali [23]. Ove è infatti in generale da convenire che «ogni qual volta il risarcimento è riconosciuto indipendentemente dalla prova del danno (o quando il danno è [continua ..]
Sempre quale variazione rispetto ai canoni ordinari risarcitori della responsabilità civile, ex artt. 1218 e 2043 c.c., rileva l’inferiore considerazione del danno in relazione alla struttura delle singole fattispecie sanzionatorie. Danno che, infatti, come già detto, viene ad essere presunto o comunque da non dover essere provato nell’an e tantomeno nel quantum: in particolare, in merito alle molteplici ipotesi di gradazione delle tutele in tema di licenziamento ed anche relativamente alla medesima sanzione della trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato e in tema di somministrazione di lavoro irregolare, sulla scorta della retribuzione del prestatore, assunta quale parametro di determinazione del pregiudizio patito per l’illegittima estromissione dal posto di lavoro. Così evidentemente per la tutela c.d. reintegratoria “piena” ex art. 18, comma 2, legge n. 300/1970. Ma parimenti in tutte le altre ipotesi in cui, indipendentemente da una stessa reintegrazione o meno del prestatore nel posto di lavoro, l’entità del risarcimento o comunque dell’indennizzo a fronte dell’illegittimità del licenziamento sono riportati ad un certo numero di mensilità della “retribuzione globale di fatto” da determinarsi nell’ambito di stabiliti limiti “minimi” e “massimi” essenzialmente a forfait, sempre a prescindere da un’effettiva verifica e prova del pregiudizio patito concretamente dal prestatore. È il caso dell’indennità risarcitoria «non superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto» per l’odierna tutela reintegratoria “debole” ex commi 4 e 7, art. 18, legge n. 300, cit., come anche delle “indennità risarcitorie onnicomprensive” previste, in mancanza di reintegrazione, a fronte di licenziamento senza giusta causa e senza giustificato motivo ex commi 5 e 7, art. 18, cit. e della stessa indennità risarcitoria nell’ipotesi di c.d. “stabilità obbligatoria” ex art. 8, legge n. 604/1966. E, a parte il richiamo al non del tutto coincidente criterio-parametro della «ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto», nonché comunque al di là di un [continua ..]
La connotazione “punitiva” o comunque “deterrente” dei suaccennati moduli sanzionatori appare evidente proprio alla luce della loro deroga agli ordinari canoni di carattere riparatorio-risarcitorio della responsabilità civile ex artt. 1218 e 2043 c.c. (e norme collegate). Ciò in diversi casi in riferimento alla stessa determinazione del danno, che difatti si stabilisce essere da risarcire indipendentemente da un necessario accertamento giudiziale del pregiudizio effettivamente patito, sulla scorta delle tradizionali incombenze di allegazione e probatorie proprie del processo civile, nonché comunque in virtù della prefigurazione della sanzione in via ex se punitiva della condotta illecita. Così per il risarcimento nella misura minima del risarcimento di «cinque mensilità della retribuzione globale di fatto» nell’ipotesi di tutela reintegratoria “piena” ex comma 2, art. 18, legge n. 300/1970, da liquidarsi anche quando il rapporto di lavoro sia ripristinato iussu iudicis prima di cinque mesi dall’illegittimo licenziamento, nonché quindi pur a fronte di un danno inferiore per il lavoratore in forma di corrispondenti retribuzioni non percepite (e cfr., conf., in materia di c.d. “contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutela crescenti”, art. 2, comma 2, d.lgs. n. 23/2015, sebbene in già rimarcata relazione alla «ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto»). Come parimenti valenza punitiva, slegata dalla necessità di un danno da doversi accertare, viene ad avere la stessa «indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto» sostitutiva della reintegrazione ex comma 3, art. 18, cit. (e cfr., conf., per il contratto di lavoro a tutele crescenti, art. 2, comma 3, d.lgs. n. 23/2015). Un’analoga natura punitiva è al contempo da riconoscere anche agli importi “minimi” stabiliti in varia misura per le su richiamate ipotesi di indennità prefigurate a fronte di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo oppure affetto da vizi formali o procedurali, quali, in particolare: l’indennità onnicomprensiva “minima” pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di [continua ..]
Fattispecie sanzionatorie a carattere “punitivo” possono tuttavia operare anche non necessariamente a vantaggio del lavoratore danneggiato. Sempre quali astreintes e comunque al fine di promuovere l’osservanza della normativa giuslavoristica, rilevano infatti anche sanzioni a connotazione punitiva a carico del datore di lavoro non incidenti nella sfera patrimoniale del lavoratore, e, quindi, non operanti ad incremento dell’indennità risarcitoria rispetto all’entità del danno da questi realmente patito, né ad ogni modo in merito ai canoni di determinazione del danno da risarcire ad esso lavoratore. È il caso, ad esempio, della somma da versarsi al Fondo adeguamento pensioni per ogni giorno di ritardo nell’ottemperanza alla sentenza o all’ordinanza di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro ex comma 14, art. 18 Stat. lav. Così pure, in tema di discriminazioni, dei provvedimenti che il giudice si prevede poter disporre al fine di rimuovere gli effetti di condotte o atti discriminatori, del piano può essere disposto per la rimozione delle discriminazioni accertate e per impedirne la ripetizione, come anche del possibile ordine di pubblicazione sulla stampa della sentenza di accoglimento della domanda (cfr., rispettivamente, art. 28, comma 5, primo e secondo periodo, nonché comma 7, d.lgs. n. 150/2011). Ipotesi, queste, funzionali ad alimentare la portata prescrittiva della normativa giuslavoristica, sanzionando il datore di lavoro inadempiente al di là del danno da lui concretamente procurato, ma, diversamente rispetto a fattispecie di responsabilità per c.d. danni puntivi più propriamente detti, senza che ne risulti un corrispondente vantaggio diretto in favore del lavoratore, bensì piuttosto in attuazione dell’interesse generale in sé all’osservanza ed effettività della medesima normativa giuslavoristica.
È pertanto nella finalità di conferire maggiore effettività alla disciplina giuslavoristica che trovano fondamento gli esaminati moduli sanzionatori a connotazione punitiva implicanti il possibile riconoscimento in favore del lavoratore di indennità risarcitorie di entità superiore al pregiudizio effettivamente patito e ad ogni modo sulla scorta di criteri alternativi rispetto ai canoni di regolamentazione generale dellaresponsabilità civile, che si è constatato potersi rivelare più convenienti per il medesimo lavoratore anche in considerazione dell’affrancamento dagli ordinari oneri processuali di allegazione, prova e, quindi, di necessario accertamento giudiziale del danno ex artt. 1218 e 2043 c.c. e norme collegate. Si vuole dare tutela reale a fondamentali diritti e interessi della persona del lavoratore o comunque, nel caso di loro violazione, imporne il ripristino, tenuto anche conto dell’essenziale incoercibilità dell’esercizio dei poteri datoriali, sicché il datore di lavoro è indotto all’osservanza delle disposizioni giuslavoristiche in via indiretta in virtù dell’esposizione ad un regime sanzionatorio per lui più gravoso rispetto all’illegittimo pregiudizio concretamente procurato e comunque rispetto all’obbligo generale di risarcimento del danno ex artt. 1218 e 2043 c.c., al di là dunque di una funzione meramente compensativa della responsabilità civile. Espressione tipo di una tale impostazione, se si guarda all’evoluzione della legislazione lavoristica di taglio più spiccatamente garantista, si è visto essere notoriamente rappresentata dalla c.d. tutela reale del posto di lavoro ai sensi dell’art. 18, legge n. 300/1970, specie nella sua originaria versione “forte”. Ma è nella medesima logica che appaiono essere state concepite nel tempo altre fattispecie sanzionatorie parimenti funzionali a dare maggiore effettività alla tutela di diritti della persona del lavoratore e comunque ad indurre un miglioramento degli standard di protezione per il diritto del lavoro rispetto alla mera tutela risarcitoria civilistica. Così come, ad esempio, oltre la materia dei licenziamenti, e a prescindere dai mutamenti normativi anche sostanziali poi intervenuti, la già [continua ..]
Sta di fatto che la rimarcata caratteristica di maggiore effettività e comunque lato sensu punitiva dei moduli sanzionatori del diritto del lavoro è andata da qualche tempo progressivamente degradando. In relazione agli svolgimenti degli ultimi anni della legislazione lavoristica, essenzialmente nel senso di un graduale decremento degli standard di protezione del lavoro subordinato, a registrarsi è infatti un evidente mutamento di registro anche sul piano delle previgenti corrispondenti tecniche di tutela e delle sanzioni, in forma sia di restrizione delle ipotesi di tutela c.d. reale a casi sempre più limitati [27], sia al contempo di riduzione dei medesimi parametri di determinazione della tutela risarcitoria. Ciò è evidente alla luce del declinare per più versi della tutela reintegratoria del posto di lavoro e del risarcimento del danno relativo ai sensi della formulazione originaria dell’art. 18, legge n. 300/1970: già al cospetto della sua versione per vari versi indebolita ex art. 1, comma 42, legge n. 92/2012 (e norme collegate); nonché quindi, poi, in una alla prefigurazione del contratto di lavoro a tutele crescenti ex d.lgs. n. 23/2015, a fronte della marginalizzazione della tutela reale del posto di lavoro al licenziamento nullo o intimato in forma orale e alla sola ipotesi della “insussistenza del fatto materiale contestato” per il licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, con la coeva riduzione della tutela risarcitoria, in relazione a tutte le ipotesi di illegittimità del licenziamento, sulla base del parametro di due mensilità della retribuzione utile ai fini del calcolo del TFR per ogni anno di anzianità, nonché in misura non inferiore a sei e non superiore trentasei mensilità (cfr., rispettivamente, artt. 2, 3 – come modificato ex art. 3, decreto legge n. 87/2018 – 4 e 10, d.lgs. n. 23/2015). Parallelamente al progressivo ampliamento delle possibilità di ricorso a modelli d’impiego alternativi al contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, un sensibile declinare dei previgenti standard di protezione si è parimenti registrato in tema di lavoro a tempo determinato e somministrazione di lavoro [28]. Anzitutto alla luce della restrizione della possibile declaratoria di un rapporto di [continua ..]
È quindi in adesione alle istanze provenienti da parte datoriale e comunque al dichiarato correlato fine di indurre per questa via un miglioramento della situazione economico-occupazionale cronicamente deficitaria, almeno da alcuni imputata in primo luogo proprio ad un’asserita eccessiva gravosità per le aziende delle tutele giuslavoristiche, che si accede ad una generale rimodulazione essenzialmente al ribasso degli standard di protezione del lavoro subordinato e, quindi, alla ridefinizione su basi rinnovate della mediazione degli interessi contrapposti rilevanti in sede di regolamentazione degli atti illeciti datoriali. Come confermato dal legislatore della riforma del Jobs Act, assumendo quale finalità dell’intervento legislativo quella di «rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione» e di «riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo» (art. 1, comma 7, legge delega n. 183/2014), è in questo senso dato spazio alle ragioni dell’economia e delle imprese, reputando che l’abbassamento dei livelli di protezione del diritto del lavoro, oltre a determinare un incremento dell’occupazione [33], possa valere a migliorare la competitività internazionale delle nostre imprese, al contempo contribuendo a rendere più attrattivo per gli investitori stranieri il nostro sistema produttivo e in tal senso venendo pure a rispondere ai medesimi vincoli e relativi diktat rilevanti per il nostro paese a livello europeo ed internazionale in genere (id est, Commissione europea, Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale) [34]. Ciò secondo un’impostazione che, in revisione almeno parziale della funzione più tradizionale del diritto del lavoro di fornire tutela ai valori personali dell’uomo che lavora, «tende a contemperare gli interessi patrimoniali e professionali dei lavoratori con l’interesse all’efficienza e alla produttività delle imprese» [35]. Sebbene siano svariate le voci dissenzienti avanzate da più parti in merito agli effetti positivi che possono risultare concretamente sul piano occupazionale ed economico, anche con la valutazione critica del ridimensionamento in questo senso del diritto [continua ..]
Il recente decremento progressivo degli standard di protezione giuslavoristici e in ogni caso la loro ridefinizione nei termini esaminati importano giocoforza la riconsiderazione del ruolo del diritto del lavoro di possibile apripista nella sperimentazione delle nuove frontiere della responsabilità civile, anzitutto in tema di c.d. danni punitivi e comunque in correlazione alle più aggiornate ricostruzioni prefigurate in merito alle sue molteplici possibili funzioni al di là della più comune finalità ripristinatoria e/o compensativo-risarcitoria. Un ruolo, questo, come rimarcato dalla stessa innovativa Cass., Sez. Un., n. 16601/2017 in tema di danni puntivi, già ascritto al diritto del lavoro in ragione del grado di generale superiore effettività e della peculiarità dei suoi previgenti moduli sanzionatori rispetto all’ordinaria disciplina civilistica, che tuttavia viene inevitabilmente a svanire al cospetto della posizione di retroguardia nella quale il diritto del lavoro tende oggi a ritrovarsi a confronto del diritto civile. Si è infatti constatato essere sempre più frequente per il legislatore lavorista accantonare l’eventualità di una tutela reintegratoria o comunque del ripristino integrale delle posizioni soggettive illegittimamente lese, per invece propendere per l’applicazione di una sanzione solo economica, anche di entità inferiore rispetto al pregiudizio procurato, e con salvezza degli effetti dell’atto datoriale contra legem. Così, invero, nell’ormai gran parte dei casi di licenziamento illegittimo, difatti assoggettati ai sensi della legislazione recente ad una tutela meramente economica, riportata al criterio alle retribuzioni perse, ma in linea di massima poi determinata in misura inferiore rispetto alle mensilità in concreto non percepite, ferma restando l’efficacia del recesso datoriale benché disposto in violazione dei vincoli di legge (cfr.: art. 18, commi 5-7, legge n. 300 “nuova formula”; comma 3, secondo periodo, art. 5, legge n. 223/1991, modif. ex art. 1, comma 46, legge n. 92/2012; artt. 3, 4, 9 e 10, d.lgs. n. 23/2015). Ma sotto determinati aspetti in forma analoga anche in relazione al ricorso irregolare lavoro a tempo determinato e alla somministrazione di lavoro (cfr., rispettivamente, art. 28, comma 2 e art. 39, comma 2, d.lgs. n. [continua ..]